Amo moltissimo questa foto dei miei nonni materni Maria e Guglielmo, detto Guelmìn, in viaggio di nozze a Venezia nel 1919.
Vivevano con noi ed ho dei bellissimi ricordi della mia infanzia e fanciullezza con loro, in pratica mi hanno seguita dalla nascita in poi perché mia mamma era impegnata tutto il giorno nel suo lavoro di telefonista alla Stipel. Purtroppo il nonno è mancato troppo presto, avevo 9 anni, ma è riuscito a passarmi la sua passione per la cucina ed anche un po' della sua pazienza, ne aveva tantissima con noi bambini, infatti la nonna di lui diceva:
- El gaveva de fa el pedagogo! ( doveva fare il pedagogo).
Questo che segue è un breve racconto di un Natale degli anni '50 a casa mia per la Giornata dei Nonni del
Calendario del Cibo italiano
Bambini ritorna Natale
“Regem venturum Dominum, venite adoremus”
Imbacuccata con berretto e cappottino arrivavo di corsa alla chiesa di San Gervasio e Protasio.
Dalla porticina laterale mi infilavo nel primo banco, quello dei piccoli, sorridevo alle mie amichette e non vedevo l’ora di cominciare a cantare.
“Regem venturum Dominum, venite adoremus”
Non capivo bene il significato delle parole, cantavo con partecipazione, con allegria, cantavo tutto, anche le pastorali alla fine della Novena.
“Regem venturum Dominum, venite adoremus”
Per la verità cantavamo anche a casa, Tu scendi dalle stelle…Astro del ciel… In notte placida…
Nella grande cucina calda dei nonni accompagnavamo con questi canti il borbottio del brasato che coceva sulla stufa.
Era la base per il ripieno dei ravioli : brasato e canti.
Mai ravioli son più stati così buoni.
Erano la specialità di mio nonno Guelmìn, si preparavano in quantità industriale perché si regalavano ai parenti di Monza che ogni anno li aspettavano golosamente.
Questo era il regalo di Natale negli anni ’50.
Non c’era da scervellarsi su: “ Cosa posso regalare…” i regali allora erano tutti o quasi mangerecci.
Noi bambini avevamo mandarini, arance, frutta secca, caramelle, torroncini, un libro o al massimo una bambola in porcellana.
Povera bambola… muoveva solo gli occhi, non si poteva pettinare, non si poteva svestire, nelle mie mani durava poco tempo tutta intera: chissà come, perdeva ora un braccio ora una gamba e tutta scarmigliata e scollata finiva in un angolo.
“Regem venturum Dominum, venite adoremus”
Lo cantavamo tutti davanti al grande presepio che il nonno allestiva nella “stüa” (la sala rivestita di legno con la stufa) sopra a un grande tavolone portato dalla cereria.
Era un presepe alpino: muschio in abbondanza, montagne, ruscello e laghetto con l’acqua vera, il falò con il pastore che girava la polenta, il mulino, la guardiana delle oche, il dormiglione e tutto attorno rami di pino e alloro ai quali il nonno appendeva caramelle e mandarini, un antesignano del futuro albero di Natale.
Dopo i primi giorni rimanevano a penzolare dai rami bassi solo i mandarini, le caramelle erano troppo a portata delle mie mani per salvarsi.
Mi nascondevo sotto ai drappeggi del presepio, era un nascondiglio ideale molto riparato, ogni tanto allungavo una mano, staccavo una caramella e me la gustavo al buio e al caldo.
Una volta mi sono anche addormentata, mi cercavano dappertutto,mi ha trovato il nonno che poverino, si è sentito sgridare dalla nonna:
- L’ ha mangiàa tuti i caramei al liquore, Guelmìn t’avevi dì de mét sü quelle alla frutta!
( Ha mangiato tutte le caramelle al liquore, Guelmìn te l'avevo detto di appendere quelle alla frutta!)
“Regem venturum Dominum, venite adoremus”
Ultima sera della Novena, ultimi canti, ultimi auguri sul sagrato della chiesa e poi di corsa a casa. Bisognava ultimare i preparativi per il pranzo di Natale: fare la gelatina per il patè, mettere a bagno lo zampone e il “vaniglia” ( cotechino con vaniglia) che mandava lo zio Giüli da Monza, preparare la salsa verde, cucinare lenticchie stufate e crauti.
Il giorno di Natale ci si riuniva tutti, attorno a quel tavolone allungato nella “stüa” c’erano tutti gli zii con i figli e prima di sedersi a tavola davanti al presepio si alzavo un canto.
Voci maschie e possenti assieme a vocette acute di bimbe che cantavano la “nostra” canzone di Natale, quella che la nonna aveva insegnato ai suoi alunni prima, poi ai sei figli ed ai nipoti.
“Bambini ritorna Natale
Sui campi di neve e di gelo
E gli angioli belli sull’ale
Discendono a schiere dal cielo.
Discendono sulla capanna
Là dove riposa Gesù
E cantano Gloria ed Osanna
Sì come quel tempo che fu!”
Proverò a rifare questo pranzo di Natale degli anni ’50.
Mancheranno quasi tutte le persone, ma i ricordi no.
Volete provare anche voi?
Vi racconto il mio menù.
Aperitivo:
Flut di spumante Brut con stuzzichini
Antipasto:
Tris di paté con pere e cachi accompagnato da Pain Brioche
Patè di vitello( quello a triangolo), Patè tartufato (la quenelle), Patè di fegatini e fegato di vitello in gelatina
Pain Brioche
Ingredienti: